Coibentare le pareti, coibentare il tetto e sostituire le finestre sono senz’altro 3 mosse importanti per contenere il fabbisogno per riscaldamento, ma tra le difficoltà delle opere e la difficoltà di disporre del capitale per la loro realizzazione spesso ci si siede con il termotecnico a ragionare sugli impianti.
I prezzi del gasolio per riscaldamento, del metano o del gpl sono così cresciuti che la voglia di trovare qualche alternativa è tanta: una stufa a pellet può essere la liberazione dalle vecchie schiavitù?
Gli sgravi fiscali indicherebbero di sì, e i sacchi di pellet ormai li troviamo anche quando facciamo la spesa al supermercato, o possiamo non scomodarci e fare l’ordine su eBay.
Ma l’Italia sta imboccando la strada giusta oppure ha un’altra volta dimenticato di preparare una strategia energetica per i suoi cittadini? Tutto questo pellet che stiamo bruciando da dove viene?
L’Italia è il primo importatore mondiale di biomassa da ardere. Gran parte del pellet importato arriva da Usa e Canada: loro esportano 400 milioni di dollari e noi? E noi prepariamo sgravi fiscali per incentivare l’installazione delle stufe a pellet per far esplodere le esportazioni di paesi più ricchi di noi?
Continuiamo a farci del male
Volevamo diminuire la dipendenza dai combustibili fossili e dare un taglio alle emissioni di CO2, e ci troviamo ad aver messo un’altra volta in difficoltà la bilancia dei pagamenti del nostro Stato. Sappiamo quel che facciamo?
Se l’invidia verso i numeri delle esportazioni di pellet di altri paesi ci lasciano indifferenti, possiamo almeno indignarci per la generazione di traffico intercontinentale di tonnellate di pellet, e poi via gomma fino alla porta di casa.
Non sono contro il pellet, volevo ragionarci con voi.
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copywriter, content creator & web editor – Federico Sampaoli consulente tecnico per l’isolamento termico dell’involucro edilizio
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